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Interfacce che leggono nel pensiero

I centri di ricerca più evoluti nel campo delle applicazioni tecnologiche puntano sull’ BCI brain-computer interfaces

Marcello Tansini A cura di Marcello Tansini - Sito web autore
Interfacce che leggono nel pensiero

I centri di ricerca più evoluti nel campo delle applicazioni tecnologiche puntano sull’ BCI brain-computer interfaces. Lo scopo è quello di poter interagire con il computer tramite il pensiero. Per ora siamo in fase sperimentale ma le aspettative sono molte.
L’attuale interfaccia è costituita da una cuffia collegata al calcolatore da molti fili, che in futuro verrà sostituita da nanoelettrodi più sottili di un capello e microemittenti ad amplificarne il segnale elettrico raccolto dal neurone, e miliardi di nanochip, il tutto su micro-impianti distribuiti sulla corteccia.
Per i disabili
anche con gravi paralisi questa potrebbe essere una rivoluzione. Un’interfaccia in grado di collegare il cervello al computer permetterebbe di guidare in modo efficace, ad esempio, una carrozzina per disabili. Ma questa è solo una delle mille cose che potrebbero essere svolte in maniera automatica.
Sono in corso
persi studi per lo sviluppo di questa tecnologia. La Society for Neuroscience ha presentato grandi novità a riguardo in occasione della sua conferenza annuale.

Le BCI si differenziano in base al tipo di segnali cerebrali che utilizzano, per come li registrano e li traducono e per gli strumenti che controllano. Si passa da applicazioni invasive come l’impianto di elettrodi direttamente nella corteccia celebrale motoria. A impianti meno invasivi.
Esperimenti invasivi vengono condotti già da persi anni su animali. Una scimmia alla quale era stato impiantato un sensore nel cervello è riuscita, dopo un periodo di addestramento, a comandare con il "pensiero" un braccio meccanico motorizzato e ad utilizzarlo per afferrare del cibo e portarlo alla bocca.

La Cyberkinetics, una compagnia del Massachusetts, sta portando avanti un progetto denominato BrainGate Neural Interface System. Questo prevede il collegamento di un microchip direttamente nella corteccia cerebrale. Il chip comunica con l'esterno tramite un cavo in fibra ottica. Una centralina esterna quindi raccoglie ed interpreta i segnali provenienti dal cervello e li traduce in dati utilizzabili dal computer. La Cyberkinetics finora ha testato il sistema su un solo volontario, tetraplegico, che è riuscito a svolgere alcune operazioni quali utilizzare il Pc e comandare un braccio robotico.

Esempi di BCI meno invasive sono quelle condotte da Jonathan Wolpaw, ricercatore del Wadsworth Center of the New York State Department of Health, il quale ha dimostrato che interfacce di tipo non invasivo sono in grado di garantire un controllo multidimensionale dei movimenti con una precisione ed una velocità paragonabili a quelle ottenute nelle scimmie utilizzando la tecnica invasiva. Attraverso una cuffia dotata di elettrodi i quali registrano l'attività cerebrale attraverso il cuoio capelluto e che poi la trasformano in segnali digitali. Questo è quello che già fa il normale elettroencefalogramma (EEG).

La non invasività e la possibilità di registrare l’attività dell’intera corteccia cerebrale costituiscono due vantaggi enormi. Il casco di elettrodi è stato testato sia su persone con lesioni spinali che su soggetti sani, che hanno imparato ad immaginare le azioni per spostare un cursore sullo schermo di un Pc. Significativamente, i soggetti con disabilità, forse solo perché più motivati, hanno ottenuto risultati migliori. Per il futuro si prevedere un’applicazione in grado di controllare anche movimenti più articolati e tridimensionali. Le persone con gravi disabilità motorie potranno utilizzare un braccio robotico o una neuroprotesi senza i rischi legati all'impianto di elettrodi nel cervello.

Studiosi del California Institute of Technology hanno sviluppato un'apparecchiatura che raccoglie le informazioni utilizzando i potenziali locali (LFP): gli elettrodi impiantati registrano segnali provenienti da centinaia di migliaia di cellule contemporaneamente invece che da singoli neuroni.

Gerwin Schalk, ricercatore presso il Wadsworth Center propone invece di registrare dall'interno della corteccia cerebrale o dal cuoio capelluto, di raccogliere i segnali dalla superficie del cervello, nel cranio. Questa tecnica, chiamata elettrocorticografia (ECoG), utilizza elettrodi che non penetrano nel cervello. il tempo richiesto al paziente per acquisire destrezza dovrebbe risultare sensibilmente minore rispetto ad una EEG. Rispetto alla soluzione con singoli neuroni, la ECoG ha invece il vantaggio di essere meno rischiosa. Il progetto europeo IPCA (Intelligent Physiological navigation and Control of web-based Applications), cofinanziato dalla Commissione Europea nell'ambito del programma IST (Information Society Technologies), si propone come un'interessante alternativa alle BCI viste sinora.

L'obiettivo è quello di sviluppare un dispositivo che le persone con gravi difficoltà motorie o di comunicazione possano utilizzare per controllare varie applicazioni informatiche ed in particolare per navigare agevolmente in internet. Anche in questo caso il sistema è composto essenzialmente di due parti, una destinata alla registrazione dei segnali, l'altra alla decodifica ed alla trasmissione degli stessi. La particolarità di questa soluzione è che per raccogliere i dati vengono utilizzati congiuntamente persi tipi di sensori - non invasivi e già impiegati in altri ambiti - in grado di rilevare ognuno un particolare parametro fisiologico. Una delle sfide sarà rendere l'impiego di questi dispositivi il più naturale ed intuitivo possibile, come se fossero parte del proprio corpo.

Autore: Marcello Tansini

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